Torniamo a parlare di animali e modi di dire, ormai uno degli argomenti più “caldi” di questo blog! Pur avendo un’innata predilezione per i gatti, amo molto gli animali in generale (ok, non tutti, con gli insetti oscillo tra lo schifo e il terrore, ma sorvoliamo!) e trovo davvero interessante scoprire i connotati che le diverse culture attribuiscono alle varie specie animali.
Giusto per fare un ripasso generale dell’argomento, ecco gli animali che sono stati maltrattati su questa pagina! 😀
Abbiamo visto che i gatti in generale non sono molto amati dalla lingua giapponese, visti come animali approfittatori, inutili e un po’ ingannatori (vedi qui e qui).
Abbiamo parlato di rane e cavalli, con i quali sembrerebbe che rivolgersi a loro sia fiato sprecato.
Abbiamo visto come cani e scimmie non vadano particolarmente d’accordo tra di loro.
Abbiamo parlato della volpe, considerata, in Giappone come in Italia, un animale scaltro e ingannevole.
Infine, abbiamo visto come in Giappone il pesce gatto causi i terremoti.
Oggi, invece, parleremo di volatili, vedendo alcuni proverbi e modi dire che hanno per oggetto anatre, falchi e passeri, e le connotazioni a loro attribuite che traggono origine ovviamente da favole e miti.
Il giapponese e i volatili
能ある鷹は爪を隠す
[Nou aru taka wa tsume wo kakusu]
Letteralmente significa: il falco (taka) veramente abile nasconde (kakusu) gli artigli (tsume). Vale a dire che chi è veramente abile o capace, non ha bisogno di dimostrarlo o di vantarsene.
Il falco nella tradizione giapponese ha una connotazione sicuramente positiva, viene visto infatti come un animale audace, coraggioso, leale. Questo proverbio tuttavia ha una doppia implicazione: la prima è di critica, infatti chi è veramente bravo in qualcosa, non ha alcun bisogno di decantare le sue abilità in giro, che saranno evidente da sole. Quindi il messaggio è diffidare da chi si vanta delle sue virtù, probabilmente non è poi così abile come si ritiene. In italiano probabilmente diremmo “chi si loda, si imbroda”, sebbene implichi una sfumatura di significato leggermente diversa.
L’altro significato, invece, ha una connotazione positiva rivolta a chi, nascondendo le proprie abilità (come un falco!) e tenendo un “basso profilo”, riesce a stupirci positivamente quando è messo alla prova, dimostrando tutta la sua bravura. In italiano potremmo dire che “l’apparenza inganna”, o “l’abito non fa il monaco”, sebbene queste espressioni abbiano una sfumatura più negativa.
鴨が葱を背負ってくる
[Kamo ga negi wo shottekuru]
Letteralmente vuol dire “viene un’anatra (kamo) (sottointeso, a cena) con un carico di cipolle (negi, in questo caso porri) sulle spalle, o sul groppone (shottekuru)”. Spesso la frase viene semplicemente abbreviata con “kamo-negi“. Secondo voi cosa vorrà mai dire? 🙂
Cominciamo subito col dire che in Giappone, le anatre, sono facili bersagli e non vengono viste come animali particolarmente svegli. Infatti un’altra connotazione della parola kamo è anche quella di ingenuo, fessacchiotto, vittima, soprattutto da un punto di vista economico; in pratica, un kamo è una facile preda di imbroglioni e truffatori vari, come si deduce anche da espressioni tipo 鴨になる (diventare un’anatra), che vuol dire lasciarsi infinocchiare/abbindolare da qualcuno, oppure いい鴨 = è una vittima perfetta! Insomma, quello che noi in italiano chiamiamo il classico “pollo da spennare”.
Tornando al modo di dire, un’anatra che viene con un carico di porri sulle spalle è in pratica pronta per entrare direttamente in pentola e farsi cucinare (per il kamonabe 鴨鍋, un piatto a base di anatra e porri). Potremmo dire che dal nostro punto di vista si tratta di una vera manna dal cielo, o di un colpo di fortuna; mentre quell’anatra non è che un povero gonzo che non chiede altro che di essere alleggerito del suo denaro (secondo la traduzione dello Shogakukan), o appunto diremmo un bel “pollo da spennare”.
雀百まで踊り忘れず
[Suzume hyaku made odoriwaserezu]
Letteralmente vuol dire che un passero (suzume) potrà vivere fino a cento anni senza dimenticare mai come ballare (odoriwasurezu). Questo significa che è difficile dimenticare ciò che si appreso in tenera età, o abbandonare le proprie (cattive) abitudini. In inglese viene tradotto con what is learned in the cradle is carried to the tomb, vale a dire ciò che impari nella culla, te lo porti fino alla tomba.
L’accezione di questo proverbio è negativa, e viene usato in riferimento a quelle cattive abitudini apprese di solito da giovani, che non vogliamo proprio sapere di abbandonare (vedi cose come alcool, fumo).
Il ballare, in questo proverbio, fa riferimento all’attitudine dei passerotti di saltellare di quà e di là, cosa che sicuramente non li condurrà a un’esistenza molto lunga, ma anche ai cosiddetti “piaceri della vita”.
E anche per oggi è tutto, alla prossima! 🙂
Come sempre: interessantissima e, per certi aspetti, sorprendente la diversità culturale dei proverbi, anche nelle similitudini, nell’evolversi delle credenze sociali 😀
Ciao
Sid
E’ vero, questa rubrica era iniziata per gioco, ma studiando i vari modi di dire è sempre interessante notare le differenze, ma anche le similitudini tra culture diverse! 😀
Molto interessanti! Trovo sia una bellissima rubrica, un piccolo (grande) arricchimento linguistico!
Ti ringrazio molto, non può che farmi piacere! 🙂