Il 6 agosto del 1945 segna l’inizio di una minaccia che incombe sull’umanità. Comincia l’era nucleare.
In seguito allo scoppio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, si afferma la genbaku bungaku 原爆文学, la “letteratura della bomba atomica”, con centinaia di testimonianze scritte in forma di diari, racconti brevi e poesie, romanzi e pièce teatrali: si tratta di un genere letterario che si identifica in uno specifico evento storico, e non in base ad aspetti formali del testo, e ciò ha fatto sì che spesso fosse messo in discussione il reale valore artistico del genere.
Nonostante le forti critiche mosse a questo genere, c’è da considerare che per i sopravvissuti l’imperativo assoluto e morale fosse quello di raccontare e di descrivere la realtà dei fatti il più fedelmente possibile: esigenza che si è scontrata con la questione della memoria, e quindi di quale fosse il ruolo della letteratura, in quanto rappresentazione e documentazione di un evento storico drammatico.
Tra gli esponenti principali della genbaku bungaku, mi sono interessata in particolare alle opere di Kurihara Sadako (1913-2005), hibakusha, poetessa, scrittrice, giornalista e saggista, nata e vissuta a Hiroshima.
La prima poesia scritta da Kurihara sull’esperienza dell’atomica, risalente al settembre del 1945, è Umashimen kana (Nasce una nuova vita).
La poesia si basa su un fatto realmente accaduto, una donna che partorisce, nascosta nel buio scantinato di un palazzo distrutto dalla bomba, aiutata da un’anziana ostetrica che muore poco dopo, e costituisce un forte messaggio di speranza, di una nuova vita che nasce tra le macerie.
Nelle stesse parole di Kurihara Sadako: “il bambino rappresenta la stessa città Hiroshima, che rivela una speranza di pace nel mondo nata dalle macerie”. Hiroshima, speranza di pace nel mondo, è nata grazie ai duecentomila hibakusha morti, simbolizzati dalla morte dell’ostetrica”.
Questa poesia diventa il simbolo della poetica di Kurihara Sadako, ed è stata tradotta in molte lingue, per il suo messaggio di speranza per il futuro.
Le successive poesie sulla bomba atomica si caratterizzano invece per la cruda descrizione degli effetti del bombardamento atomico sugli uomini e sulla città. Non c’è più spazio per messaggi di speranza o di una futura rinascita, solo la descrizione di quanto accaduto, all’improvviso/un lampo azzurro folgorante/I palazzi crollano/le fiamme ardono, e l’amara constatazione degli effetti della devastazione, dei corpi carbonizzati, dei cadaveri affastellati lungo gli argini dei fiumi, Hiroshima ridotta a un cumulo di macerie e fiamme che ardono.
Nelle poesie scritte tra il 1964 e il 1975 (a 20 anni dallo scoppio della bomba atomica), Kurihara ci parla della realtà della ricostruzione. La poesia Il vuoto è dedicato al cenotafio del Parco della Pace, il monumento funebre alle vittime della bomba atomica, paragonato alla sella di un cavallo, per via della sua forma ad arco. Kurihara rivolge un’aspra critica alla costruzione del parco della Pace, e ai turisti che vengono da tutto il mondo in cerca della tragedia, pronti a fotografarla. E si chiede, retorica, se l’umanità che passa di lì potrà mai riportare in vita i morti di quel giorno.
Nella poesia Quando dici Hiroshima, invece, Hiroshima smette i panni della vittima, della città martoriata e ridotta in cenere, e tramite una sineddoche, rappresenta il Giappone militarista e aggressore dei paesi dell’Asia, brutalmente violentati.
È forte l’accostamento prodotto dai primi versi: Hiroshima – Pearl Harbour / Hiroshima – lo stupro di Nanchino / Hiroshima – i roghi a Manila/donne e bambini bruciati con la benzina/e gettati nelle fosse. Kurihara rammenta il ruolo di aggressore rivestito dal Giappone, e vede il dramma di Hiroshima coma una diretta conseguenza delle crudeltà commesse dal Giappone contro gli altri paesi.
Nelle poesie più recenti, il tema affrontato da Kurihara è quello dell’Era nucleare: si supera lo spazio dell’evento storico del bombardamento atomico, per giungere a una condizione universale, rivolta al futuro: Il futuro inizia da qui, il “qui” in questione sono Hiroshima e Nagasaki, non più semplici luoghi della tragedia, ma punto di inizio stesso dell’era nucleare, e monito per l’umanità: affinché l’errore non sia più ripetuto.
Kurihara Sadako ha vissuto l’era nucleare, vista come la fase finale della scienza e della cultura moderne che tratta gli uomini come oggetti, disprezzandoli. Ha cercato di rendere universale la condizione degli hibakusha, affinché essa potesse essere usata per liberare il genere umano dal nucleare.
Hiroshima e Nagasaki non sono più eventi drammatici del passato ma punto di partenza fondamentale per le idee del presente e per il futuro, ricordandoci quali sono i rischi per l’umanità. La sua opera, così ricca e variegata, sicuramente rappresenta una delle testimonianze artistiche più importanti della vita durante l’era nucleare.
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