Cerchi infiniti. Viaggi in Giappone

Ciò che noi cerchiamo in Giappone è un Giappone che esiste esclusivamente nel tempo, non nello spazio. La prima volta sei talmente eccitato da voler continuare a vedere il piccolo e bello anche nel grande e brutto, ti godi l’estetica, ti fai portare a Kyoto e Nara, passi davanti alle vetrine del museo della ceramica, assisti a spettacoli di teatro kabuki per pomeriggi interi, ti immergi nei templi e ti abbandoni alla perfezione dei giardini. Tutto ciò che hai letto di Lafcadio Hearn e altri viene confermato, tutto, incluso il cibo, ha un retrogusto spirituale, e ciò che non vuoi vedere, non lo vedi.

Quest’anno non sono riuscita a dedicarmi alla lettura di moltissimi libri (e la maggior parte erano per il nostro bookclub #LibroGiappone), ma la lettura di Cerchi Infiniti di Cees Nooteboom la considero la più significativa di questo 2017. Ho impiegato parecchio tempo a finirlo, ho iniziato che ero al sesto mese di gravidanza, e ho terminato la lettura al compimento dei 2 mesi di età di mia figlia. Di solito sono una persona che legge avidamente, alcuni libri li ho letteralmente bevuti, ma qui per me era fondamentale prendermi il tempo necessario.

Come certi viaggio hanno l’obiettivo di “estraniarti dalle tue origini”, anche alcuni libri hanno questo potere, di portarti via, a vivere (o rivivere) un’esperienza “altra”.

Cerchi Infiniti. Viaggi in Giappone (edizioni Iperborea) raccoglie le riflessioni di Cees Nooteboom, viaggiatore e autore di romanzi e poesie, nel corso di 40 anni di viaggi attraverso il Giappone, dalla fine degli anni ’70 fino a inizio 2000. Un paese che si muove costantemente e cambia alla velocità della luce, in cui è molto facile sentirsi totalmente estraniati.

La citazione iniziale è tra quelle che mi hanno maggiormente colpito (ho evidenziato un gran numero di righe e pagine nel corso della lettura del libro): l’euforia per la prima volta in Giappone è una sensazione comune a tantissimi, è uno dei sentimenti che più facilmente si riscontra in chi ha viaggiato per il paese e che provoca in quasi tutti quello che definisco il “mal di Giappone”, quel bisogno così forte da far quasi male di tornare il prima possibile. Ma è la seconda fase della conoscenza del Giappone quella che più difficilmente vedo affrontata in giro: l’euforia è facile e ti fa girare la testa, ma il distacco, lo scontro con “l’impenetrabilità giapponese” è forse l’aspetto più difficile da affrontare, di quanto ci si sente come in un amore non corrisposto.

Questo è probabilmente la prospettiva che più ho apprezzato nella lettura di questo libro: quella sensazione di sentirsi “scomodi”, di essere nel luogo in cui si desidera ardentemente essere, ma che non corrisponde alla nostra immagine ideale. Ognuno ne ha una sul Giappone: quella dell’autore (con cui ammetto di sentirmi molto vicina) è quella del Giappone classico, della letteratura, delle scrittrici Heian che rimandano a un’idea di Giappone che, forse non esiste più, o che più probabilmente è molto ben nascosto sotto la superficie e non a tutti è dato scoprirla.

Nelle parole di Giorgio Amitrano che ha curato la postfazione: “… Murasaki Shikibu e Sei Shonagon gli offrono chiavi di lettura che il mondo reale sembra negargli. Leggendo questi scrittori Nooteboom si rende conto che questa alterità non è poi così altra, e che sotto tutto ciò che ci appare bizzarro c’è il fondo comune della condition humaine“. Un viaggio nella cultura, prima ancora che nei luoghi del Giappone, in cui l’autore si muove alla ricerca di qualcosa che ha percepito attraverso le sue letture, l’arte, ma che nella realtà diventa in qualche modo inaccessibile. È forte il senso di estraneità, di invisibilità che porta quasi a sparire, tra la gente che affolla le strade delle città.

Hokusai, Hiroshige. In quale Giappone sono venuto in realtà? […] ogni viaggiatore conosce, credo, il repertorio delle discordanze tra ciò che vede e ciò che si aspettava, cerca la conferma di un’immagine interiore anche se sa che quell’immagine è un falso.

Mi sento particolarmente in sintonia con il sentire di Nooteboom, abbiamo in comune anche diverse tappe del nostro viaggio in Giappone, il monte Koya, la valle del Kiso. Leggerlo mi ha fatto sentire nuovamente in Giappone, ma soprattutto, ha riportato a galla molto del mio sentire circa questo paese, che anche se non ho visitato per un così lungo arco temporale come ha fatto l’autore, che ha potuto osservarne i grandi cambiamenti, conosco e frequento ormai da più di 10 anni tra studi, lavoro, viaggi e ancora, nonostante tutto, tanti aspetti di questo paese sento che mi sono sconosciuti, quasi inaccessibili. È facile ragionare sull’onda del pregiudizio (inteso sia nel bene che nel male), il Giappone è così, i giapponesi sono così. Ma in realtà si tratta di un paese difficile e affascinante, in cui è facile sentirsi degli estranei. La conoscenza approfondita, il confronto continuo, l’andare oltre la superficie possono aiutare a penetrare la complessa realtà giapponese, ma mi chiedo sempre quanto ci è dato alla fine conoscere, e comprendere.

È nei luoghi di cui ignoravi perfino l’esistenza che finisci per essere più felice. Io non ero diretto qui, eppure sono qui.

Mi piace molto questa citazione, per me riassume alla perfezione l’essenza stessa del viaggiare. Perdersi per poi ritrovarsi, e scoprire qualcosa di sé che non si sospettava minimamente di possedere. Scoprire persino la felicità. Nei suoi resoconti di viaggio, Nooteboom affronta tanti aspetti diversi della cultura giapponese, vivendo una serie di esperienze tipiche del viaggio in Giappone, se vogliamo, immergendosi nell’atmosfera dei santuari shinto e dei templi buddhisti, ammirandone la bellezza dei giardini, vivendo il forte senso delle stagioni giapponese. È impossibile non rimanere affascinati da questa serie di esperienze, sia solo leggendole che vivendole sulla propria pelle. Ma alla fine di tutto, del Giappone cosa ci rimane? Cosa riusciamo realmente ad afferrare?

Questo è un libro da leggere e assaporare, cogliendone le infinite sfumature. Un libro perfetto per chi ama il Giappone. E chi ama viaggiare.

Daniela

Yamatologa per caso, traduttrice per passione, sognatrice di professione. Un vita in bilico tra Roma e il Giappone, e una passione per la fotografia, la cucina, i libri e i gatti.

4 Comments
  1. Gentile Daniela, continuo a spulciare il tuo blog per trovare ulteriori stimoli nella mia immersione nel mare nipponico.
    Trovo stimolante il testo di Noteboom anche se ho sorriso quando hai scritto che a proposito del Giappone ” in realtà si tratta di un paese difficile e affascinante, in cui è facile sentirsi degli estranei. Da viaggiatore incallito credo che questa sensazione non si limiti solo a tale paese: avendo vissuto per molti anni in Russia e con l’handicap del cirillico ho provato la stessa sensazione. Pur salutando i vicini in russo, questi ci hanno messo due anni per ricambiare.Se non sei mai atterrata in un paese arabo non penso tu possa immaginare la sensazione di pesce fuor d’acqua che provi appena uscito all’aperto. Un saluto esteso anche a Fabiana…..

    1. Ciao Rolando, grazie per il tuo commento. Ovviamente il mio commento si riferisce al Giappone che è il paese che conosco meglio e che tratto in questo blog, ma certamente non vuol dire che questa sensazione non si possa provare (in misura anche più forte) in altri paesi del mondo. Nella nostra visione “eurocentrica” abbiamo la pretesa che ovunque nel mondo si ragioni, si viva come facciamo noi, e il Giappone, ma come il resto dell’Asia, e altri paesi molto distanti dal nostro modo di sentire, possono rivelarsi un vero schiaffo in faccia alle nostre convinzioni.

Lascia qui un commento :)