Dopo aver ammorbato l’intera rete (facebook, twitter, e blog altrui) sulla questione adattamento nel caso di un film capolavoro come Principessa Mononoke (tornato al cinema dall’8 al 15 maggio con un nuovo doppiaggio e adattamento a cura di Lucky Red), era probabilmente giunta l’ora di parlarne anche sul blog, tanto per ammorbare un altro po’. 🙂
Prima di tutto, ci tengo a chiarire alcuni punti: reputo questo nuovo adattamento di Principessa Mononoke nettamente superiore, e sicuramente più corretto e fedele all’originale rispetto alla vecchia versione, che aveva travisato, e non di poco, alcuni punti chiave del film, arrivando perfino a uno stravolgimento del finale. Inoltre, voglio dire che io non sono contraria all’adattamento e al doppiaggio per principio: quando fatti bene (e quando penso a un adattamento fatto bene, il film a cui penso è uno: Frankenstein Junior di Mel Brooks, un vero e proprio caso da manuale per chi studia traduzione audiovisiva), li considero anche meglio di vedere un film in originale coi sottotitoli che, almeno secondo me, non permettono di poter godere pienamente di un film, cosa che invece il doppiaggio consente. Dico questo perché non mi trovo mai del tutto d’accordo con prese di posizioni nette come l’essere contro il doppiaggio in toto. Dire una cosa del genere, per me, è come dire essere contro i libri tradotti. Eppure mi pare che la maggior parte di noi legge libri in traduzione, o sbaglio? Certo, anche io guardo film e serie tv in originale, così come leggo libri in lingua originale, in passato lo facevo soprattutto per una questione di esercizio linguistico, oggi anche per apprezzare le voci e le intonazioni originali, o il testo originale, perché è ovvio che ogni traduzione è sempre una mediazione: tra lingue e culture diverse, tra due mondi distanti.
Chiunque ha studiato o si è occupato di traduzione conosce esattamente le difficoltà che ogni testo presenta, i problemi di interpretazione, quei concetti o significanti così strettamente connessi alla cultura di partenza, da non poter trovare una perfetta equivalenza nella lingua di arrivo, senza stare a scomodare le diverse teorie sulla traduzione, quei concetti di equivalenza e di intraducibilità che tutti gli studenti dei corsi di traduzione hanno imparato a conoscere (e probabilmente a odiare). Non voglio annoiare nessuno con questioni strettamente linguistiche, questo è per dire che la traduzione perfetta e definitiva non esiste, e che ogni traduzione è di per sé perfettibile.
Tutto questo preambolo è solo per spiegare il mio punto di vista, che non intende in alcun modo denigrare il lavoro di nessuno, perché sono perfettamente consapevole delle difficoltà traduttive e di adattamento che si possono incontrare in un testo, non certo facile, come quello di Mononoke.
Apprezzo la volontà di voler dare a questo film una traduzione più fedele alle intenzioni originali di Miyazaki, ma come già ho avuto modo di dire fare una traduzione fedele non vuol dire realizzare un testo italiano sciatto e brutto, oserei dire. E contorto, in alcuni punti, tanto da non far capire nulla allo spettatore.
Su twitter ho scritto che alcune scelte linguistiche mi hanno lasciato perplessa: termini come pulzelle per 乙女 (otome), ma anche la scelta di rendere il suffisso onirifico さま (-sama) con sommo. Io capisco qual è l’intenzione dietro scelte del genere: otome significa ragazza, fanciulla, giovinetta, vergine. Il senso intrinseco odierno è anche quello di purezza.. Pulzella è una traduzione da un punto di vista semantico assolutamente corretta, il cui significato è appunto fanciulla non maritata, vergine. Il problema qui non è a livello semantico, ma a livello di connotazione: dire pulzella rimanda inevitabilmente alla “pulzella d’Orlèans”, Giovanna d’Arco, che chiaramente non c’entra un tubo col Giappone dell’epoca Muromachi. Il risultato finale, quindi, è qualcosa che stride, e che in italiano risulta bizzarro.
Vediamo il suffisso onorifico: in giapponese vengono utilizzati dopo il nome di una persona e indicano il grado di confidenza e di rispetto nei confronti di questa. I più comuni sono -san, -kun, -chan e -sama. In italiano non esiste nulla di tutto ciò, di solito si tende a ometterli, oppure a renderli con “signore” o “signora”, a volte con “onorevole” o “rispettabile” nel caso di -sama, che di solito si riferisce a qualcuno con un status particolarmente elevato. Lo dico chiaramente: a me la scelta di sommo non piace. Dire “sommo fratello” in italiano, anche inteso in senso arcaico, non ha alcun senso, e probabilmente io avrei lasciato solo “fratello”, forse non fedelissimo al giapponese, ma che rende meglio in italiano. Tra l’altro anche qui si pone nuovamente il problema della connotazione: in Italia, di sommo, c’è solo il poeta, e anche qui si crea nuovamente quell’effetto stridente di cui parlavo prima.
Ora, capiamoci: queste sono delle semplici scelte linguistiche, sono parole che nulla tolgono alla bellezza e alla resa di questo film. A me non piacciono molto, avrei probabilmente preferito altre soluzioni, ma non creano particolari problemi. Anche la soluzione “pigiare la fornace”, che traduce タ タラを踏む (tatara wo fumu. Tatara è la tradizionale fornace giapponese, quella che appunto si vede nel film usata per fondere l’acciaio, fumu significa pestare, schiacchiare) non è il massimo in italiano, ma riesco a capire la difficoltà di resa in italiano riscontrata che ha portato a questa scelta, non bellissima ma accettabile.
I problemi purtroppo sono altri, cioè interi periodi, che purtroppo non riesco a ricordare, assolutamente astrusi. Quando Ashitaka, Hii e gli altri saggi del vilaggio si ritrovano dopo l’attacco del Tatari-gami, cioè il cinghiale posseduto dal demone, c’è tutto il discorso dell’anziano che riassume la storia degli Emishi, il loro essere stati sconfitti dal clan Yamato che li ha portati a nascondersi per 500 anni, che leggendolo in giapponese è così chiaro, mentre in italiano è diventato incomprensibile. Non ho lo script italiano attuale, e non ricordo l’intera battuta (lunghissima peraltro), so solo che alla fine del discorso la mia faccia ha assunto la classica espressione a punto interrogativo, traducibile in: “Ma che ha detto, questo?” Ora, magari è un problema mio con l’italiano, e può anche starci, il punto è che parlando con altre persone che non avevano mai visto Mononoke, alcune delle quali conoscitrici della lingua e della cultura giapponese, mi hanno detto che il film non l’hanno proprio capito (testuali parole: incomprensibile!) e non l’hanno apprezzato, per questo. Certo, non si tratta di un film facile e immediatamente intelligibile, siamo d’accordo. Ma non è che anche il nuovo adattamento ha creato qualche danno? Io conoscevo il film, eppure alcuni passaggi non li ho capiti lo stesso. Non è che questo voler essere assolutamente fedeli e aderenti al testo originale, ha portato a un italiano di difficile comprensione, per non dire senza senso? Era questo il risultato che si voleva ottenere? A parte l’italiano strano, un altro problema che ho riscontrato io almeno, è stato anche l’eccessiva lunghezza di alcune frasi. Certo, i periodi sono abbastanza “densi” anche in giapponese, però l’effetto finale su di me è stato lo stesso di quando vedendo un film in originale, i sottotitoli sono troppo lunghi e quindi o si perde l’intera scena, oppure non si finisce di leggerli: per seguire il lungo e delirante discorso, non sono riuscita a seguire la scena e alla fine mi sono ritrovata con la faccia a punto interrogativo di cui sopra.
Ecco, io è questo che critico del nuovo adattamento, e che per alcuni momenti ha rischiato di rovinarmi l’intera visione di questo film, tra l’altro uno di quelli che più amo di Miyazaki. La sensazione che ho avuto è stato quello di un testo filologicamente corretto e preciso, un testo forse eccessivamente aderente all’originale giapponese che alla fine si è tradotto in una serie di parole attaccate a una serie di immagini. E questo per me lo rende non pienamente sufficiente. La scelta dietro per me è chiara: sacrificare l’italiano in nome di una maggiore e presunta fedeltà al testo originale. Un approccio che io non posso condividere: perché tradurre per me non vuol dire questo: prendere una serie di parole da una lingua e trasporle in un’altra lingua, come se si trattasse di semplici dati per cui ad A corrisponde A. Non è così semplice. Una traduzione “alla lettera” può essere semanticamente corretta (forse), ma di certo non potrà mai essere un “testo” nella lingua di arrivo.
Ne capisco i motivi: in passato, la nostra generazione cresciuta a merende e cartoni animati, è stata abituata a traduzioni completamente sbagliate e travisate, tagli, censure, storie completamente trasformate. La reazione, comprensibile, è stata quella di voler restituire una fedeltà e una dignità che mancava a quei testi martoriati dal pessimo adattamento italiano. Su questo siamo tutti d’accordo. Ma non vorrei mai ritrovarmi in una nuova epoca in cui la maggiore fedeltà all’originale si trasforma in una lingua ibrida, che di certo non si può definire italiano. Per quello che è il mio approccio alla traduzione, la fedeltà prima di tutto deve essere nei confronti della nostra lingua: trasformare un testo in lingua straniera in un testo intelligibile in lingua italiana, senza tradire l’originale. Cosa non facile, ma possibile. Ed è proprio questo il bello della traduzione: la sfida.
Molto interessante la tua analisi e la condivido quasi in pieno. Anche se l’adattamento è stato un po’ sofferto, a spese della lingua italiana, sono riuscita a godermi il film abbastanza bene, a parte il problema dell’inizio come hai evidenziato tu. Avendolo visto per la prima volta posso dire di averlo capito 🙂
Il problema è proprio riuscire adattare, come avevamo già discusso su Twitter, i diversi suffissi giapponesi. In italiano faranno storcere il naso però danno una vaga idea di come suonerebbero in giapponese. Eliminarli del tutto avrebbe anche potuto essere una soluzione ma non rispecchia il giapponese, lasciarli non tradotti sarebbe stato ancora peggio, non tutti conoscono come funziona il giapponese. È stata fatta una soluzione accettabile per evitare di prendersi troppe libertà.
Son d’accordo che ogni tanto sarebbe stato meglio sacrificare la fedeltà a tutti i costi per avere un italiano più scorrevole. Una via di mezzo non avrebbe fatto così male però devo dire che l’adattamento non mi dispiace.
Tradurre è davvero molto, molto difficile!
Grazie per il tuo commento, in effetti sì, tradurre è difficile e soprattutto si tratta di un compromesso continuo: a volte si sacrifica un po’ del testo originale, a volte si forza l’italiano per essere più “fedeli”.
Sulla questione suffissi, diciamo che in questo caso specifico il sommo non mi entusiasma, ma lo accetto. Il punto è che si tratta di una categoria che in italiano non esiste, per questo dà così problemi nel tradurlo. A volte si omette, a volte il -san si traduce con signore, forse il miglior equivalente, ma ovviamente dipende dal contesto, a volte ci si lancia in epiteti altisonanti per rendere il -sama, con risultati più o meno apprezzabili.
E’ inevitabile che qualcosa in traduzione si perda, sono state scritte non so quante pagine sulla questione della intraducibilità, legata fondamentalmente alle differenze culturali tra paesi, in generale si cerca di fare il meglio possibile per far recepire un testo straniero come era nelle intenzioni originali. A volte ci si riesce, a volte no.
Comunque, tutte queste considerazioni nascono dal fatto che io, prima ancora di essere un’amante del Giappone e della sua lingua, sono un’appassionata di lingue e di traduzione (non per niente mi definisco yamatologa per caso ;)) e su questo ho un occhio molto critico, per me ormai è quasi impossibile riuscire a godermi in pieno un libro o un film tradotti senza lo sguardo da “addetto ai lavori”.
E non ti dico quanto sono critica nei confronti delle mie traduzioni, se le rileggo a distanza di mesi trovo 10 000 difetti o soluzioni alternative migliori, ecco perché dico che la traduzione perfetta non esiste, e che ogni traduzione può sempre essere migliorabile.
A presto! 🙂
Non fa una piega. Ho avuto la stessa sensazione guardando “La collina dei papaveri”, l’hai visto? Sembra che siamo passati da una traduzione in cui il senso veniva completamente stravolto ad una traduzione puramente letterale. Credo che interpretare in maniera corretta un concetto e raccontare questo concetto in un’altra lingua comporti per forza l’uso di parole diverse.
(Parlo da ignorante eh, io il tuo lavoro e il lavoro dei traduttori in generale lo stimo tantissimo).
Questo problema però non mi sembra ci sia stato né per “La città incantata” né per “Totoro” o “Porco rosso”. Come mai? Forse i dialoghi di Mononoke sono più complessi? O hanno cambiato team di traduttori?
La collina dei papaveri non l’ho visto in italiano, ma la stessa cosa l’ho notata in Kiki consegne a domicilio (lì veramente sono uscita dal cinema arrabbiata, preferivo mille volte la vecchia versione) e anche in Arrietty. In realtà anche in Totoro avevo percepito qualcosa di strano, ma niente di drammatico.
La città incantata adesso uscirà col nuovo adattamento, e già tremo al pensiero.
Prima i diritti sui film dello Studio Ghibli erano della Buena Vista, che ha realizzato adattamenti abbastanza edulcorati rispetto all’originale, e se non sbaglio, almeno nel caso di Principessa Mononoke e credo di Kiki, tradotti dalla versione americana e non dall’originale giapponese. Adesso è la Lucky Red che ha acquisito i diritti e che sta facendo questo super lavoro di riadattamento dei film, per far sì che siano più vicini alla versione originale. Scopo nobilissimo, e sul quale sono totalmente d’accordo, io purtroppo mi trovo a contestare il risultato che non è dei migliori. Come dicevo, stiamo passando da traduzioni “creative” (per usare un eufemismo) a traduzioni brutte. Della serie, dalla padella alla brace T_T
I dialoghi di Principessa Mononoke non sono sicuramente facili, e anche il registro è abbastanza alto rispetto, ad esempio, a un Kiki o Totoro. Cosa che rende l’adattamento finale passabile, anche se certo non eccelso.
Aspetto ora al varco La città incantata, però sono onesta: mi aspetto il medesimo risultato, perché è chiaro che la strategia traduttiva adottata ormai è quella. E questo mi fa un po’ passare la voglia di andare al cinema, a questo punto sono tentata di aspettare il dvd per godermelo un’altra volta in originale coi sottotitoli, una soluzione che non amo del tutto, ma sempre meglio che sentire la mia lingua maltrattata.
Davvero La città incantata avrà un nuovo doppiaggio??? Io quel film l’ho visto mille volte, non potrei mai guardarlo senza sentire le battute che conosco a memoria 🙁
Per Totoro mi ricordo che il traduttore o qualcuno per lui (non ricordo il nome) aveva aperto un forum dove proponeva parole da tradurre per sentire il parere di altri del mestiere. Era molto interessante sentire diversi punti di vista.
(Ma come mai mi iscrivo ai commenti ma non ricevo notifiche?Boh)
Sì, anche la città incantata avrà un nuovo doppiaggio, onestamente però non ricordo se con il vecchio c’erano stati problemi di traduzione/interpretazione (nel caso di Mononoke, per esempio, i problemi erano ben noti ed evidenti) tali da giustificare il nuovo adattamento.
Per le notifiche cerco di sistemare, ogni tanto wordpress fa i capricci! 🙁
Ho scoperto che cos’è successo con le notifiche! Sono rimba io, wordpress non ha colpe 😛
Mi fa piacere che tu abbia scritto questo post che approfondisce la discussione, lo aspettavo con molta curiosità.
Intanto per me che studio il giapponese, ma non ho mai studiato traduzione in sé, leggere la tua opinione è davvero interessante.
Come ho già avuto modo di dirti non sono una grande amante del doppiaggio, che indubbiamente permette di capire meglio tutte le sfumature dei dialoghi che inevitabilmente sfuggono coi sottotitoli, ma va a perdere le voci originali, le intonazioni, il tono degli attori. Ci aggiungo il fatto che guardo spesso film misconosciuti, il cui doppiaggio quando esiste è agghiacciante, quindi mi sono abituata alla lingua originale quasi per tutto (anche per i film di Hong Kong, di cui ovviamente non capisco un’acca).
Sulla traduzione di Mononoke, come sai, la penso esattamente come te. Le singole parole, che magari danno il tono arcaico adatto all’opera, sono però prese dalla nostra cultura, dalla nostra tradizione medievale, e stridono con l’ambientazione giapponese. Poi, come dici tu, alcune spiegazioni un po’ più complicate sono diventate contorte, tanto che alla fine della frase sono rimasta con un “Eh?” a mezz’aria.
Ecco, io non saprei proprio come risolvere il problema in modo migliore, quindi la mia rimane un po’ una critica fine a se stessa, ma spero che il team che traduce i film Ghibli metta in dubbio questo modo di operare e cerchi di mediare tra fedeltà e una traduzione che suoni meglio. Anche perché dovrebbe essere in arrivo anche Kaguya-hime no monogatari, che essendo ambientata nel periodo Heian è un’altra traduzione ad altissimo rischio, e un film così bello, complesso e toccante merita tutt’altro trattamento.
Grazie per il tuo commento Elena. In realtà non mi reputo una vera e propria esperta in traduzione, nel senso che in giro si trovano voci molto più autorevoli della mia :), io ho studiato traduzione e tradotto (tanto) all’università e per lavoro (per lo più, però traduzioni tecniche, molto meno stimolanti delle traduzioni per la letteratura e il cinema) e in generale mi appassiona l’argomento e tendo ad avere un occhio critico (ormai sono esperta a riconoscere nelle traduzioni i calchi dal giapponese, o dall’inglese), quindi anche la mia rimane alla fine una critica un po’ fine a se stessa, sperando che almeno alcune cose cambino.
Quello che mi preoccupa, soprattutto, non sono tanto i problemi legati a un registro aulico o a dialoghi complessi, che alla fine se la traduzione non è perfettamente riuscita è anche comprensibile (e aggiungo, speriamo bene con Kaguya hime che non vedo l’ora di vedere :)); il problema è quando la resa in italiano non è buona neanche con film “semplici”, come nel caso di Kiki (si capisce che non ho apprezzato molto l’adattamento, vero?). Lì vuol dire che c’è qualche problema alla base che forse andrebbe rivisto.
Sulla questione doppiaggio/sottotitoli rispetto la tua opinione da cinefila, che capisco pienamente e condivido, per quanto riguarda il godersi la performance originale degli attori. Purtroppo alla fine ogni soluzione risulta sempre in un compromesso che comporta una perdita dall’originale, ma a questo non ci sono rimedi, quindi ci accontentiamo 🙂
Non sono riuscito a vedere al cinema questo nuovo adattamento di Mononoke Hime, ma, leggendo tutte le vostre discussioni in merito, non vedo l’ora di mettere le mani sul blu ray per poter esprimere un’opinione.
Le difficoltà del Tradurre, lo dico da grato beneficiario del lavoro di chi vi si cimenta, credo siano pari solamente al fascino ed alla soddisfazione che derivano da questa attività.
Personalmente, da quando le sonorità e le inflessioni della lingua giapponese mi hanno conquistato così irrimediabilmente, preferisco optare per la traccia audio originale con sottotitoli anche quando è disponibile il master italiano. Cui comunque concedo quasi sempre un secondo ascolto, proprio per dedicare in toto la mia attenzione visiva all’animazione, senza venir distolto dai sottotitoli.
Dev’essere bellissimo potersi permettere il lusso di seguire un anime giapponese in lingua originale, disattivando la traccia dei sottotitoli. Ti ammiro molto per questa tua capacità, pian piano, chissà, magari un giorno ci andrò vicino anch’io.
A tal proposito, pur non sapendo se l’argomento specifico sia di tuo interesse, ne approfitto per chiederti un parere sul doppiaggio della serie Saint Seiya (cui ho appena dedicato il mio ultimo post, http://shiawa.blogspot.it/2014/05/i-cavalieri-dello-zodiaco-al-cinema.html).
I Cavalieri dello Zodiaco sono famosi, in Italia, per essere stati oggetto di un adattamento a dir poco originale, nella sua “artisticità”. Scelta che, forse anche solo a livello affettivo, continuo, nonostante tutte le licenze, a trovare azzeccata. Con la fresca notizia dell’uscita al cinema del nuovo film in CG sui Cavalieri, un parere da esperto su quello che potremo attenderci da Lucky Red mi interesserebbe molto.
Grazie, a presto
Ciao e grazie per il tuo parere. Sì, la traduzione è uno di quei lavori che ti fa passare in un attimo dalla frustrazione all’esaltazione estrema, quando trovi LA soluzione.
Come dicevo, io apprezzo molto il lavoro di adattamento cinematografico, anche se non sempre purtroppo è all’altezza, ma è evidente che potersi godere un’opera in lingua originale è meglio sotto tanti aspetti, soprattutto per apprezzare pienamente la performance originali, i toni e le voci. Comunque neanche io sono infallibile, e cedo ai sottotitoli anche se cerco di non guardarli per non distrarmi dalla visione, ci butto un occhio quando ci sono frasi poco chiare, ecco 🙂
Sull’adattamento di Saint Seiya non posso pronunciarmi, purtroppo, anche se è una serie che ho molto amato da ragazzina, ma ho letto con interesse il tuo articolo. Capisco quello che intendi dire, è difficile essere oggettivi con le serie della nostra infanzia: a livello affettivo nessun nuovo adattamento più fedele e corretto potrà mai sostituirle, nonostante tagli, censure, traduzioni sballate e licenze artistiche.
A presto 🙂
Ciao Daniela! Devo ammettere che quando ho scoperto che passavano al cinema Mononoke Hime non stavo nella pelle. Mio padre mi aveva comprato la cassetta quando ero piccola e, inutile dirlo, io e mia sorella l’avevamo praticamente logorata da quante volte l’avevamo vista. 😛 Adoriamo la cultura giapponese, per questo non abbiamo problemi a capire alcune situazioni, nei film di Miyazaki sopratutto, che ad altri sembrano strane. Ma, aihme, non so il giapponese (anche se sto cercando di impararlo), quindi non so quali fossero i problemi dell’adattamento. Fatto sta che mi era proprio sfuggita la notizia del nuovo doppiaggio, quindi, elettrizzata all’idea di vedere quel meraviglioso film sul grande schermo, chiamo a raccolta mia sorella e i nostri rispettivi fidanzati, che non conoscevano il film, per passare una bella serata. Arrivati in sala già mi immaginavo le loro facce stupite e le domande alla fine del film, dato che non è semplice da capire, come hai detto tu. E poi arriva la sorpresa. Io e mia sorella ci accorgiamo subito che il doppiaggio è diverso, un po’ contrariate siamo rimaste in ascolto, anche per vedere se ci sarebbe piaciuto di più del precedente doppiaggio. Alcune espressioni non mi sono andate per niente a genio. Ripeto, non sono una traduttrice e non conosco il giapponese, ma sentire chiamare Ashitaka con l’appellativo di “messere” invece di “straniero” o “forestiero” mi faceva storcere il naso. “Messere” non è un termine proprio adatto ad una ambientazione giapponese. Oppure anche quando Ashitaka, parlando con Eboshi, dice di essere venuto per osservare “con occhi non offuscati”…. mentre prima era “con occhi non velati dall’odio” che, almeno a mio parere, era più significativo. Ci sono state anche altre nuove battute che non mi sono piaciute, ma il colpo di grazia è stata la nuova traduzione di quello che per me era sempre stato il “Dio Cervo”. Posso capire che magari non era una traduzione esatta, ma quando in sala si è sentito chiamare per la prima volta “Dio bestia” …. La gente ha iniziato a ridere! ERA RIDICOLO! ogni volta che veniva nominato sembrava una bestemmia, i nostri ragazzi hanno iniziato a ridere pure loro, io e mia sorella scandalizzate. No, non accetto una resa del testo che rende ridicolo un film come Mononoke Hime… Non sono mai uscita dal cinema così arrabbiata…
Ciao Letizia, ti ringrazio molto per il tuo lungo e articolato commento, che ho letto con molto piacere. Per quanto riguarda l’adattamento, la versione precedente aveva alcuni errori di interpretazione che di fatto davano un senso completamente alterato a quelle che erano le intenzioni originali, e quindi sicuramente andava rivisto. Però, come ho scritto anche nel post, la maggiore fedeltà all’originale, cosa auspicata da tutti, non può e non deve significare un italiano strano e innaturale, come hai percepito tu stessa.
Ovviamente, quando il doppiaggio cambia a chi era abituato alla vecchia versione, la cosa risulta strana, è un effetto naturale (come quando ci abituiamo alla voce di un doppiatore e poi questa viene cambiata, quante volte sarà successo nelle serie tv per esempio?), bisogna abituarsi alle nuove voci e alle nuove espressioni. Ciò non cambia quello che hai percepito: alcune espressioni, legate al nostro medioevo per esempio, messe in un contesto giapponese suonano per forza di cose innaturali e strane, e il voler trovare a tutti i costi delle equivalenze tra culture e lingue diverse, purtroppo non porta sempre a risultati ottimali. E per come la vedo io, una traduzione ben fatta deve suonare naturale nella lingua di arrivo, altrimenti c’è qualcosa che non va.
“Le pupille non offuscate” è una traduzione più fedele all’originale, ma concordo con te, in quanto anche io preferivo la vecchia versione, ma queste restano sensazioni personali, un po’ come per Dio Bestia, scelta che non amo particolarmente, ma probabilmente è più una questione di sensibilità, e ognuno ha la sua.
Purtroppo il rischio è quello che hai evidenziato tu, cioè quello di sminuire o rendere incomprensibile un capolavoro come Mononoke Hime con alcune scelte quantomeno bizzarre, e questo è quello che anche io non perdono a chi si è occupato del lavoro di adattamento.
Salve Daniela, non ho ancora visto questa versione lungamente attesa di Mononoke Hime, e devo ammettere che dopo tutti i commenti che ho letto sono ancora un pò spaventata all’idea di restarne delusa, Anche per me questo è un film veramente molto amato ed importante, ed anche se sono impaziente di conoscere i veri significati di molti punti della storia, che nella vecchia versione erano stati distorti o semplificati troppo, mi hanno ulteriormente intimidita le tue impressioni su interi monologhi dei personaggi che sembrerebbero privi di senso.
Le argomentazioni che hai esposto sono davvero esaustive e mi trovi in sintonia con esse.
Intendiamoci, sono enormemente grata alla Lucky Red per essersi presa l’impegno di editare i dvd dei film dello Studio Ghibli, e dopotutto sia Totoro che I Sussurri del mio cuore, a parte qualche vocabolo un pò antiquato, erano scorrevoli. In Arrietty, solo una frase, detta dal padre nella prima parte del film mi ha lasciata perplessa, per il resto l’ho seguito senza problemi (tra l’altro, amo molto anche questo “piccolo” film dello Studio). Non credo che vedrò la nuova versione de La città incantata, perchè mi ha soddisfatta pienamente la prima – e non mi risulta che, in questo caso, ci siano stati travisamenti voluti nella storia.
Vedremo che cosa succederà quando usciranno – a breve, pare – Omoide Poro Poro e Omoide no Marnie…per non parlare di Nausicaa della Valle del Vento, di cui tutti noi amanti dell’opera di Miyazaki stiamo attendendo il ritorno da anni e con sempre più impazienza.
Grazie per la tua recenzione e complimenti per il blog!
Barbara (Roma)
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Ciao Barbara, ti ringrazio per il commento e benvenuta sul blog! 🙂 Mi spiace risponderti solo ora, ultimamente ho pochissimo tempo libero e il blog ne sta risentendo, spero di tornare presto a scrivere con più costanza.
Sei più riuscita a vedere la nuova versione di Mononoke? Io posso dirti che comunque vale la pena rivederlo con il nuovo adattamento, anche perché sicuramente la traduzione, dal punto di vista semantico è sicuramente più accurata, per quanto riguarda i lunghi monologhi più che privi di senso, rimangono un po’ difficili da seguire perché, a mio parere, la costruzione della frase è piuttosto arzigogolata, quindi nell’ascolto si rischia di perdere il filo del discorso (sarebbe diverso nel caso di una traduzione scritta, in cui se una frase risulta un po’ ostica, almeno la si può rileggere con tutta calma, in un dialogo ciò è impossibile!), e da lì si perde un po’ il senso di tutto il monologo. Ciò detto, io sono molto grata alla Lucky Red che sta riportando sullo schermo questi capolavori facendo un lavoro davvero importante, ma il mio occhio purtroppo rimane abbastanza critico per via di una sorta di “deformazione professionale” che ormai mi impedisce di godermi un film o una lettura senza pensare all’originale giapponese (o anche inglese) e a come i testi di partenza vengono poi adattati alla nostra lingua.
Se poi avrai modo di vedere il film spero ti andrà di condividere la tua opinione con noi! 🙂
Grazie ancora e a presto!
Ho letto solo adesso questa tua recensione, quindi probabilmente non vedrai neanche il mio post. Condivido praticamente in tutto. Tranne su una cosa, che non ritengo questo doppiaggio migliore di quello precedente. Sono consapevole degli errori del doppiaggio precedente, essendo anch’io studioso di giapponese (anche tradizione oltre che lingua), doppiaggio e cinema, ma seppur sbagliati a livello letterario gli ritengo più fedeli a livelli concettuale. Come tu hai già detto nella tua perfetta recensione, vi è stata una traduzione che è venuta a realizzare dialoghi orribili sacrificando l’italiano. Seguire letteralmente una lingua come il giapponese porta a milioni di errori perché una è una lingua orientale è una occidentale, vanno un po reinterpretate in italiano per dargli lo stesso senso che hanno in giapponese. Per questo io preferisco anche se con i suoi errori terribili comunque il vecchio doppiaggio perché ha livello di concetto mi ridava le stesse cose che mi da la versione giapponese. Mentre nel nuovo doppiaggio ci sono cose che proprio non capisco: tatarigama okay che letteralmente significa “il Dio della maledizione” (tradotto in Dio Maligno), ma nella cultura giapponese tatarigami è inteso come uno spirito maligno o un demone differente da una divinata. Oppure Shishigami (Dio Bestia), Kodama (ammetto di non ricordarmi se ciò era stato tradotto o no) e altre cose magari già da te elencate tipo pulzella o nonnino (mi veniva un po da ridere al cinema che ogni vecchio del film si chiamasse nonnino). Il fatto è che in giapponese ci sono tantissimi termini come per esempio kokoro, che letteralmente vorrebbe dire cuore, mente, spirito, coscienza, ma contenendole tutte si potrebbe dire che kokoro vuol dire kokoro, e sta a noi trovare la giusta interpretazione. E giustamente come dicevi tu è quello il bello della traduzione la sfida, per avere una traduzione che non vada a cambiare ciò che dice l’opera originale, perché seppur preferisco la prima traduzione, credo che in Italia tranne chi l’ha visto in giapponese abbia ancora visto il vero Mononoke-Hime. Comunque ottima recensione sei veramente in gamba e l’unica che ha davvero analizzato il film, ha differenza di quelli che hanno realizzato recensioni sulla base di ” La Lucky Red ha detto che questo doppiaggio è fedele all’originale “.
Ciao Riccardo,
e perdonami per il ritardo con cui rispondo al tuo interessante e dettagliato commento. Intanto ti ringrazio per aver espresso la tua opinione su un tema che, come avrai capito, mi sta particolarmente a cuore. Capisco la tua preferenza per la versione precedente dell’adattamento, a livello “affettivo”, diciamo, ma anche a livello concettuale e di resa generale la preferisco anche io, però non posso chiudere un occhio sugli errori di traduzione evidenti, perché comunque alterano il significato originale del film! E a livello di fedeltà, seppur mi duole ammetterlo, quest’ultima è comunque migliore, fermo restando che tutto quello che ho detto lo confermo e lo sottoscrivo. Torno giusto l’altro giorno dalla visione di Quando c’era Marnie e per l’ennesima volta mi ritrovo a dover confermare tutte le critiche fatte ai tempi di questa recensione, oltre alla constatazione che a quanto pare non c’è alcuna volontà di provare a cambiare strada. Onestamente, dopo quest’ultimo film non so se avrò ancora voglia di andare a vedere gli adattamenti in italiano, probabilmente resterò con la versione originale e amen. A ottobre ho letto ci sarà la nuova versione di Nausicaa e sono onesta, non ho più voglia di rovinarmi la visione di film che amo, vorrei potermi concentrare sulla trama, sulle immagini e sul film, e non ancora una volta su frasi che suonano terribili in italiano.
Grazie ancora per il tuo commento! 🙂