Sul perché studiare le lingue

La domanda che più o meno tutti gli studenti, o aspiranti studenti del corso di laurea in LINGUE E LETTERATURE STRANIERE (perché questo è il corso di laurea, gli altri sono per lo più dei minestroni in cui si fa un mix di varie materie per poi alla fine non essere né carne né pesce) è la seguente:

Vale la pena studiare le lingue? E in particolare quelle orientali? E ancora più in particolare il giapponese?


Mi sono posta questa domanda proprio in questi giorni, benché non sia più studentessa, anche leggendo diversi forum sull’argomento. Ho letto tanti commenti di persone che si erano pentite di studiare lingue, e in particolare il giapponese, perché “non danno lavoro” ed esortano a studiare quelle materie “pratiche” che invece, come per magia, ti mettono il lavoro su un piatto d’argento.

Premetto di non avere una risposta universalmente valida, insomma direi che può valere la pena come no, so di dire una cosa scontata, ma dipende dal singolo individuo mettere a frutto quanto studiato. Però forse qualche linea-guida per i futuri studenti si può tracciare. Vediamo un po’.

Punto 1) Vale la pena studiare le lingue?

Di primo impatto, la mia risposta è sì, assolutamente. Ma riformulando la domanda, vale la pena studiare le lingue, e basta?, le certezze vacillano. Diciamo subito che lo studio delle lingue fine a se stesso non è forse la migliore idea che vi possa venire in mente, a meno che non vogliate fare delle lingue il vostro mestiere, that is to say, diventando traduttori o interpreti, o tutt’al più insegnanti di lingua (bellissimo mestiere, a mio parere, fin troppo bistrattato). Certo che se il vostro sogno è diventare importanti manager in qualche multinazionale, o più banalmente, fare il classico lavoro da ufficio 9-18, magari con contratto a tempo indeterminato, forse studiare le lingue a LINGUE non è la soluzione ideale, ma magari a questo ci sarete già arrivati. Insomma, di solito in casi del genere si può suggerire una bella laurea in Economia e Commercio, nel ramo che più preferite, o una laurea in Ingegneria (ancora meglio) + studio delle lingue (leggi dell’inglese) a parte, con corsi, viaggi all’estero, erasmus ecc. La soluzione perfetta, giusto?

Ma veniamo alla più classica delle obiezioni (che ovviamente vale anche per me): Ma se sono sempre stato una schiappa in matematica, odio le materie scientifiche mentre amo le lingue, perché dovrei fare una cosa che detesto e che non mi riesce bene, quando potrei fare qualcosa che invece amo e che, forse, mi riuscirebbe anche dignitosamente?

Eh, eh. Bella domanda, ne? (Da intendere non come “ne” torinese ma come particella finale enfatica giapponese, che mi piace talmente tanto che ormai la schiaffo dappertutto)

Possibililità:

a) Sei meno schiappa di quello che pensi, ti iscrivi a Economia (o Ingegneria) e magari dopo un paio di esami scopri pure che è la facoltà che fa per te. Può succedere, no? Bene, andiamo oltre.

b) Pensavi di essere meno schiappa di quello che sei, ti iscrivi a Economia e scopri una totale avversione verso tutto quello che ha a che vedere con conti, numeri, finanza, management e quant’altro, e alla fine ritorni a quello che era il tuo primo amore, LINGUE.

c) Sai quanto sei schiappa, non ci provi neanche e ti iscrivi direttamente a quello che ti piace, LINGUE.

Bene, ora sei iscritto a LINGUE, sei felice e contento e fai i tuoi begli esamini. Pensi che basti? Assolutamente no.

Ecco, per rispondere alla domanda iniziale, è questo che va assolutamente imparato, a mio parere: nel momento in cui si fa una scelta di vita, la si deve portare a fondo al meglio. E studiare lingue è una scelta di vita. Dopo la laurea in lingue non si ha una certezza del futuro (ormai nessuna laurea la garantisce più, ma alcune sicuramente più di altre), quindi non ci si può permettere la MEDIOCRITA’. Non si può andare sempre alla ricerca di esami-farsa, non si può studiare solo in funzione dell’esame senza approfondire nulla, e soprattuto BISOGNA DARSI DA FARE, sempre, muoversi, cercare, esplorare la rete, organizzare, partecipare. Una cosa che ho notato all’università è una certa passività che attanaglia gran parte degli studenti, che per lo più si limitano a fare quanto devono, e niente di più. Ovviamente questo discorso vale per ogni corso di laurea e facoltà, ma se almeno certe facoltà riescono comunque a garantire una certa spendibilità del titolo di studio nel mondo del lavoro, quando si è iscritti ai corsi cosiddetti “inutili”, la mediocrità è un lusso che non ci si può concedere. Non si può aspettare che le cose ci cadano dall’alto per grazia divina, ma bisogna andarsele a cercare, anche in capo al mondo, e a prenderle. C’è la possibilità di fallire, è vero, ma una cosa è sicura: se non si tenta nemmeno, si ha fallito in partenza.

Probabilmente il discorso che ho fatto vale per lo studio delle lingue, ma anche per tutti i corsi di laurea umanistici o, comunque, ritenuti “inutili”. Non so se risponda alla domanda che ho posto all’inizio, probabilmente no, ma al momento altre risposte non ne ho.

Punto 2) Vale la pena studiare le lingue orientali, e il giapponese in particolare?

Ovviamente, rimane valido quanto detto sopra. Ma quando si parla di lingue orientali, che quindi implicano un sistema di pensiero, una cultura, un modo di vivere spesso diametralmente opposto al nostro, il discorso forse si complica. E quindi vale la pena fare tutti gli sforzi (mentali ed economici) che lo studio delle lingue orientali comporta se queste poi, alla fine della fiera, non portano a nulla? Va bene la passione, seguire quello che ci piace, l’amore per le lingue e le culture diverse dalle nostre, ma in soldoni questo a cosa porta? Diciamo che io lo sto ancora scoprendo. Nei momenti di sconforto mi dico che avrei fatto meglio a fare qualcos’altro, anche solo le “semplici” lingue europee ed evitare di imbarcarmi in questa impresa titanica, ma in altri penso invece che non avrei potuto fare scelta migliore. Insomma, pur comprendendo lo spirito e lo sconforto di chi, dopo tutti gli sforzi fatti, dice “ma chi te lo fa fare di studiare giapponese, vai a ingegneria, fai qualcosa di pratico e vedrai che trovi subito lavoro!”, non posso proprio essere d’accordo con questa affermazione, che di fatto sminuisce la mia scelta, e quella di tanti altri. Quindi, a chi vuole approcciarsi allo studio di questa lingua, mi sento di dire solo una cosa: se ti piace davvero, se hai questa passione profonda, se sei pronto a sgobbare, sgobbare, senza la garanzia che la scelta fatta ti porterà al lavoro dei tuoi sogni, fallo. Ma poi, quando sarai frustrato per la difficoltà (nota: difficoltà, non impossibilità) di trovare lavoro, non lamentarti, non tirare fuori la rabbia, seppur comprensibile, sull’inutilità della tua laurea, sul fatto che l’università non insegna nulla ecc., ché lo sapevi (lo dovevi sapere) sin dall’inizio, che lingue non è economia o ingegneria. E per concludere, sempre per dire una cosa scontata, che in tanti secondo me dimenticano, la laurea non è un punto di arrivo, ma è solo l’inizio.

Daniela

Yamatologa per caso, traduttrice per passione, sognatrice di professione. Un vita in bilico tra Roma e il Giappone, e una passione per la fotografia, la cucina, i libri e i gatti.

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